Caro Presidente Moro…

Caro Presidente Moro,

mi chiamo Tiziana e oggi compio 33 anni. Sono nata il 9 maggio del 1978, esattamente nello stesso giorno in cui il Suo corpo senza vita fu ritrovato in una Renault4 a Roma, in Via Caetani, a pochi metri dalle sedi nazionali della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista Italiano.

Ad ogni compleanno, puntualmente, mio nonno o mia mamma non potevano esimersi dal commentare “Ah, quel giorno… ah, povero Moro… E povera Italia”, il che non è esattamente quello che una bambina vuole sentirsi dire nel giorno della sua festa. Ormai è certo: ho trascorso più compleanni con Lei, con la sua memoria intendo, che non con i miei genitori o parenti.

Crescendo cominciai a chiedermi, ovviamente, chi fosse stato questo Aldo Moro, con cui praticamente dividevo ogni anno le candeline sulla torta. Le prime spiegazioni le chiesi a mio padre, da sempre impegnato in politica. Papà mi parlò con rispetto del Presidente del Consiglio, del capo della DC, del fedele servitore dello Stato e dello strenuo difensore delle sue Istituzioni. Cercò anche di spiegarmi cos’erano stati le BR e gli Anni di Piombo, e lo fece con un malcelato senso di rabbia e delusione che non poteva non provare, da appassionato uomo di sinistra quale era ed è tuttora. Ma a me non bastò. Sempre più incuriosita cominciai a fare ricerche, leggere libri e vedere film; e via via nella mia testa si andava componendo un quadro a cui però mancavano ancora dei tasselli fondamentali, e intantola Sua figura diventava sempre più familiare, sempre più “di casa”. Leggendo e studiando i Suoi scritti ho potuto apprezzarLa come giurista, L’ho ritrovata ne libri di storia contemporanea e pur non condividendo gran parte delle Sue idee, ho provato profondo rispetto ed ammirazione per la Sua coerenza e onestà intellettuale. Ed infine, ho letto con commozione le lettere scritte dalla “prigione del popolo”, dove il rigore e la serietà del ragionamento politico dell’integerrimo statista si alternano alla figura dell’uomo lacerato dalla preoccupazione per la sua famiglia, per la moglie Noretta, per i figli e l’amatissimo nipotino Luca, e il credente che non cede di un passo nella sua fede cristiana e cattolica.

La verità su quei 55 giorni di prigionia e sulla Sua morte, rimane uno dei tanti, troppi, misteri italiani che non troveranno mai una soluzione. Stato, Anti-Stato, Servizi deviati, CIA e gli Americani: dall’intrigo internazionale alla degenerazione del Sistema, ogni anno esce una novità che avalla o smentisce questa o quella teoria. L’unica cosa certa è che Lei è diventato, Suo malgrado, un eroe da tragedia greca, pagando con la vita il Suo attaccamento alle Istituzioni e ai principi morali, caratteristiche queste che, paradossalmente, risultavano e risultano spesso sgradite nelle sfere più alte della politica italiana.

In una lettera all’allora segretario della DC, Benigno Zaccagnini, Lei scrisse delle parole che, rilette oggi, con tutto quello che in questi trenta e più anni è successo in Italia, risuonano come una profezia tristemente avveratasi: “Si discute qui, non in astratto diritto (benché vi siano le norme sullo stato di necessità), ma sul piano dell’opportunità umana e politica, se non sia possibile dare con realismo alla mia questione l’unica soluzione positiva possibile, prospettando la liberazione di prigionieri di ambo le parti, attenuando la tensione nel contesto proprio di un fenomeno politico (…)Se così non sarà, l’avrete voluto e, lo dico senza animosità, le inevitabili conseguenze ricadranno sul partito e sulle persone. Poi comincerà un altro ciclo più terribile e parimenti senza sbocco”.

Mi creda Presidente, è andata esattamente come aveva previsto, e per questo Le confesso che non è stato facile venire al mondo in un periodo come quello appena descritto (e anche vivere nell’Italia dei decenni successivi non lo è stato, non lo è per niente), ché ha segnato un punto di cesura profondo tra ciò che fino a quel momento era, e quello che poi sarebbe stato.

Anche perché la Sua non fu l’unica tragedia che si consumò in quel lontano giorno che in una canzone dei Modena City Rambles viene ricordato come l’alba dei funerali di uno Stato. Infatti, mentre la Nazione veniva sconvolta dalla notizia della Sua scomparsa, a Cinisi, un paese della provincia palermitana, un altro piccolo grande eroe cadeva sotto i colpi dell’ Anti-Stato.

Si chiamava Peppino, Presidente… Peppino Impastato: un giovane che aveva deciso di contrastare il potere mafioso, in un territorio in cui questo voleva dire mettersi contro persino i propri familiari. Assieme ad altri amici aveva fondato una delle tante radio “libere” che si andavano diffondendo in quegli anni, Radio Aut, e dai microfoni di quella radio aveva cominciato a denunciare la corruzione dei politici locali, e la loro collusione con imprenditori e Cosa Nostra. Era arrivato a candidarsi alle elezioni del Consiglio Comunale di Cinisi. Ma naturalmente non ci arrivò vivo alle elezioni. Venne assassinato appunto nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978, con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia: un altro uomo che ha pagato con la vita il suo amore per la giustizia e il suo alto senso del dovere.

Certo, la Sua storia e quella di Peppino sono talmente diverse che potrebbe davvero sembrare assurdo compararle o accostarle. Eppure un punto di contatto, a mio parere, c’è: entrambi siete morti difendendo ciò a cui maggiormente tenevate, le vostre idee, il vostro senso di giustizia e l’amore concreto per un Stato che, nel momento in cui avrebbe potuto fare qualcosa per voi, vi ha invece abbandonati.

Caro Presidente, in questo giorno in cui ancora una volta mi ritrovo a ricordarvi, mi piacerebbe sentirmi meno sola e più degna dell’eredità morale che Lei e Peppino Impastato avete affidato alla mia generazione. Ma questo pensiero di resa è forse il peggior torto che si possa fare alla vostra memoria. La coscienza civile di un popolo si edifica attraverso l’opera del singolo, ed è veramente un Paese civile quello in cui non servono eroi e martiri per introdurre un cambiamento, ma è sufficiente una cittadinanza attiva e consapevole, rispettosa delle regole e della legalità: fare ciascuno la nostra parte, questo è l’unico modo per non rendere vano il vostro sacrificio, per opporsi realmente a quel Sistema che vi ha voluti morti. Con questa certezza, anche oggi mi alzo e, come cantava Rino Gaetano, prendo il 109 per la rivoluzione, in qualche modo grata ad un destino che mi ha fatto nascere in giorno così carico di significato.

Con affetto e stima,

Tiziana Albanese

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"Padrona di niente, schiava di nessuno"
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